A un destinatario che esiste (o non esiste) da un mittente che non esiste (o esiste)

 

 

 

 

 

 

         Una mamma scrive al fondatore del Sorriso Francescano

 

 

Caro Padre Umile,

ti scrivo con infinita gratitudine che non sono in grado di esprimere con le parole.

Sono la mamma di uno dei tuoi bambini, quelli che hai raccolto tra le macerie della guerra.

Ricordo, al momento della morte, il dolore provocato dal pensiero straziante di lasciare mio figlio da solo; non mi importava di interrompere la mia vita, che potevo augurarmi lunga. Quel dolore si è dissolto sapendo che il mio piccolo aveva trovato una guida, un sostegno. E un tetto e una minestra.

So che sei stato tu ad insegnare a leggere al mio bambino; mi spiace aver perso quel momento che sognavo da quando lo avevo in pancia.

Caro Padre, mi accomiato da te chiedendoti di continuare ad aiutare dal Cielo tutti i bimbi che il destino lascia senza mamma.

 

 

 

Per saperne di più:

 

www.cappucciniliguri.it/padre-umile-da-genova.html

A. Caruso, Padre Umile da Genova (Giovanni Bonzi) – Una vita per gli altri, Elledici, Torino 2013

 

 

 

 

 

A un bambino arcobaleno dal fratello angioletto

 

 

 

        

         Ho saputo che sei nato. Sono così felice che svolazzo in Cielo cantando da una nuvola all’altra come non avevo mai fatto da quando sono qui.

         La nostra mamma ha di nuovo il sorriso e nostro papà non ha più quello sguardo infelice che mi faceva piangere.

         I nostri genitori mi chiedevano sempre di pregare perché tu arrivassi; persino sulla mia tomba (prima o poi andrai a vederla) le parole della sofferenza sono accompagnate alla fiducia nelle mie richieste al Signore.

         Allora, benvenuto! E, ricorda, il fratello maggiore sarò sempre io!

 

 

 

 

All’orfanella della tomba Amerigo

 

 

       

         Ho iniziato a vederti quando ero bambina come te. Mi sembravi così concentrata nel tuo gesto devoto che mai avrei osato interromperti per proporti di giocare insieme.

         Il tempo è passato, solo per me. Tu sei rimasta uguale, intenta al segno della croce.

         Oggi so che sei un’orfanella. Quanto vorrei portarti nella mia vita! Tu non saresti più orfana, io non sarei più una mamma senza figli.

 

 

 

Lettera immaginaria di un novizio

 

 

         Pater reverendissime, atque amatissime…

         Mi fermo qui, il mio latino non mi permette di continuare…

         Sono venuto qui per servire Dio “ad serviendum Deum” (questo so dirlo nella lingua che ami!), seguendo la tua regola, dimenticando la vita passata.

         Mi sto abituando al silenzio, ai digiuni, alle veglie mattutine salmodiando. Mi sto abituando a tutto per rispondere alla divina chiamata nella vita contemplativa.

        Il mio abito sarà bianco, come ha voluto san Bernardo in onore della Vergine; mi affido a lei ogni giorno quale madre accogliente in un grembo sereno.

         Quando è il momento della liturgia delle ore il mio cuore canta per l’Altissimo, rinnovando ogni giorno la preghiera che qui abita da tempi remotissimi.

         Nel bel coro di legno, gioiello dell’abbazia, scelgo sempre lo scranno con l’immagine del teschio; ho scelto di diventare monaco sapendo che quello è il mio destino e sognando una vita che già mi avvicini al Cielo.

         Il monastero custodisce una statua di Maria Bambina che si dice sia generosa nel concedere grazie a chi non si stanca di chiedere; ogni sera mi fermo a pregare davanti a lei. In quel mio momento le richieste sono per la mia amata sorella, perché la Vergine pietosa interceda donandole un ventre fecondo. Non mi stanco.

         L’archivio è il luogo “non di culto” che preferisco; sfogliando il “Liber Professorum”, il “Libro dei Professi” incontro ogni nome dei confratelli che mi hanno preceduto e il suffragio per ciascuna anima riempie le mie preghiere. Ed è qui, dove regnano le pergamene, che capisco quanto sia stato intenso il tuo messaggio nella storia e gioisco di esser tuo seguace.

 

 

 

Lettera immaginaria di Abel Magwithc* dall’Australia

 

 

 

Caro figlio del sogno e della gratitudine, sono qui nella lontana Australia pensando a te. Ogni sera rivivo nella mente il nostro incontro di tanti anni fa al cimitero, immaginandoti cresciuto bello e forte.

Vorrei tanto il tuo amore; mi sto affaticando in questa terra lontana per offrirti un futuro di successo e di gioia. Si potesse davvero comprare la gioia, spenderei tutto quello che ho per ottenerla e spedirtela impacchettata come un libro. A proposito di libri, chissà quanti ne starai leggendo per diventare il signore che sogno. Io ho letto così poco ma un giorno leggerai per me, e il cuore mi diventerà sereno e la stanchezza di questi anni svanirà al suono della tua voce.

Il forzato che hai aiutato nella tua infantile bontà ti è diventato padre, come quello nella tomba del tuo villaggio. Il destino ci riserva svolte inaspettate ed eventi inimmaginabili…

Ti penso ogni mattina augurandoti il buongiorno, Pip mio, e ogni sera, augurandoti la buonanotte.

Un giorno verrò a incontrarti, questo è il mio chiodo fisso, e ammirerò il risultato dei miei patimenti e dei miei sogni.

Talvolta, mentre sono nella mia capanna di custode delle pecore, mi sembra di vederti; è uno scherzo che fa la mente, vittima di stanchezza e desiderio.

Ti coprirò d’oro come un lord, avrai vestiti di qualità raffinatissima; il mio amore per te si trasformerà in oggetti di lusso per la tua felicità.

Io sto sgobbando nella mia triste vita perché tu non debba mai farlo nella tua felice vita.

 

*Protagonista del romanzo “Grandi Speranze” di Charles Dickens.

 

 

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