Lettera immaginaria di un novizio
Pater reverendissime, atque amatissime…
Mi fermo qui, il mio latino non mi permette di continuare…
Sono venuto qui per servire Dio “ad serviendum Deum” (questo so dirlo nella lingua che ami!), seguendo la tua regola, dimenticando la vita passata.
Mi sto abituando al silenzio, ai digiuni, alle veglie mattutine salmodiando. Mi sto abituando a tutto per rispondere alla divina chiamata nella vita contemplativa.
Il mio abito sarà bianco, come ha voluto san Bernardo in onore della Vergine; mi affido a lei ogni giorno quale madre accogliente in un grembo sereno.
Quando è il momento della liturgia delle ore il mio cuore canta per l’Altissimo, rinnovando ogni giorno la preghiera che qui abita da tempi remotissimi.
Nel bel coro di legno, gioiello dell’abbazia, scelgo sempre lo scranno con l’immagine del teschio; ho scelto di diventare monaco sapendo che quello è il mio destino e sognando una vita che già mi avvicini al Cielo.
Il monastero custodisce una statua di Maria Bambina che si dice sia generosa nel concedere grazie a chi non si stanca di chiedere; ogni sera mi fermo a pregare davanti a lei. In quel mio momento le richieste sono per la mia amata sorella, perché la Vergine pietosa interceda donandole un ventre fecondo. Non mi stanco.
L’archivio è il luogo “non di culto” che preferisco; sfogliando il “Liber Professorum”, il “Libro dei Professi” incontro ogni nome dei confratelli che mi hanno preceduto e il suffragio per ciascuna anima riempie le mie preghiere. Ed è qui, dove regnano le pergamene, che capisco quanto sia stato intenso il tuo messaggio nella storia e gioisco di esser tuo seguace.