Sono un muro di Genova, vicino a Corso Firenze.
Qualcuno potrebbe pensare che sono solo un muro, che non so cogliere le emozioni. Non è vero! Per confermarlo posso raccontare di un pomeriggio di dicembre del 2020. Proprio qui vicino a me c’erano gli ospitanti di Kattim; erano insieme ad un amico che li riprendeva col cellulare mentre inviavano gli auguri di Natale al loro bambino bielorusso, che non avrebbero rivisto a causa delle restrizioni per il Covid. Fingevano gioia ma ho capito benissimo quanto fosse grande la loro sofferenza.
Ogni tanto passano di qua e mi vengono a raccontare che il loro piccolo, anche a causa di una guerra, non è più tornato e sento il dolore diffondersi, sovrastandomi.