Osservando il monumento ai caduti nel quartiere genovese in Val Polcevera
E’ una donna in piedi, col capo coperto, che regge un giovane esanime; ricorda una Pietà e basta questo a renderla straziante.
La donna non guarda il ragazzo che ha tra le braccia, lo sguardo, carico di dignità, è puntato davanti a sé; forse guarda al futuro che vivrà senza il frutto del suo ventre.
Non vedo lacrime, ma l’istinto mi dice che ce ne sono state tante, come sappiamo noi che abbiamo perso un figlio. In qualunque modo.
Il giovane ha in una mano una piccola corona funebre che mi pare pronta a sfuggire da un momento all’altro, ma resta, nell’immobilità del bronzo.
Vorrei conoscere i pensieri della donna del monumento; forse ricorda la prima volta che ha avuto in braccio il suo bambino che ora, ventenne, dorme per l’eternità grazie a una granata, a una ferita in combattimento, a una malattia incontrata in trincea o a un motivo mai saputo.
La lastra alla base della statua mi dice che le madri d’Italia hanno offerto alla patria la vita dei figli e a Dio il loro spirito, affidando a noi, lettori del futuro, i “nomi sacri” dei caduti.
Allora me li leggo tutti questi nomi, pensando ad ogni mamma.